martedì 23 gennaio 2018

[Cotto e mangiato Hokkaido edition] Golden Kamui




(non ci credo, sono al secondo post! O_O )

Il fumetto del quale mi accingo a parlare oggi è senza alcun dubbio uno dei miei preferiti fra quelli che ho iniziato negli ultimi anni, ed è quello col quale avrei voluto inaugurare questo blog, salvo poi cambiare programma all'ultimo e virare su Devilman Crybaby per sfruttare anche un po' la scia della sua recente uscita.

Il fumetto in questione è un manga seinen il cui titolo è Golden Kamui (lett. "dio dorato" in lingua Ainu). Alcune info: l'autore, Satoru Noda, ha iniziato a scrivere, disegnare e pubblicare l'opera sulle pagine della rivista Shuukan Young Jump, periodico settimanale della Shueisha, nel 2014, ed al momento in cui scrivo la serie è ancora in corso in madrepatria con all'attivo 12 volumi. Golden Kamui ha ottenuto sin da subito un grande successo di pubblico e critica coronato, nel 2016, con la vittoria della nona edizione del Manga Taisho Award (una sorta di Premio Oscar dei manga giapponesi, ndt), con la nomination al 20mo e al 21mo Premio Tezuka, e con l'annuncio di un adattamento animato che sarà trasmesso sulla TV giapponese a partire da Aprile 2018. Nel nostro paese, Golden Kamui è in corso di pubblicazione da parte dell'editore J-Pop, che lo ha annunciato nel 2016 portando il primo numero in anteprima al Lucca Comics and Games, e che al momento in cui scrivo è arrivata all'ottavo volume. Ciascuno di essi è in vendita al prezzo di 6,90 € in un'ottima edizione con carta di alta qualità (come da tradizione dell'editore), formato 13x18cm e, per il momento, cadenza bimestrale.

Ma di che parla questo manga? L'incipit della storia è molto semplice. Siamo agli inizi del '900 ed il nostro protagonista, Saichi Sugimoto, è un reduce della guerra russo-giapponese (1904-1905) soprannominato "Sugimoto l'Immortale" per via della follia e della spericolatezza con cui era solito combattere. Mentre si trova alla ricerca di oro nell'Hokkaido (la regione più a nord del Giappone, ndt) per poter aiutare la moglie malata di un suo commilitone morto durante la guerra e di cui è innamorato, viene a conoscenza un giorno di una storia molto curiosa e improbabile: un uomo ha massacrato un gruppo di Ainu (popolazione autoctona del Giappone, tipo gli Indiani d'America) e ha rubato loro un preziosissimo carico d'oro, nascondendolo in una locazione ignota; catturata e imprigionata in un carcere di massima sicurezza, questa persona ha tatuato sul corpo di 24 prigionieri suoi compagni un codice segreto per poter raggiungere il nascondiglio del tesoro, una volta riuniti tutti i pezzi. Questi prigionieri sono riusciti ad evadere dal carcere e adesso vagano per l'Hokkaido. Stuzzicato dall'idea di poter mettere le mani sul bottino, Sugimoto decide di partire alla ricerca dell'oro nascosto e durante il suo viaggio si allea con Ashirpa, una ragazzina Ainu molto brava nella caccia e nella sopravvivenza in terre ostili, che desidera vendicarsi del misterioso prigioniero in quanto tra le persone uccise a cui è stato rubato l'oro c'era anche suo padre. Inizia così per i nostri due protagonisti un'avventura in giro per l'Hokkaido alla ricerca dei prigionieri tatuati fuggitivi, durante la quale si imbatteranno in animali feroci, situazioni rocambolesche e ai limiti dell'inverosimile, e personaggi senza scrupoli che mirano come loro alla conquista del bottino.


Vado dritto al punto senza girarci troppo attorno: Golden Kamui è una delle serie più spettacolari, scanzonate e divertenti pubblicate negli ultimi anni, nonostante alcuni difetti che potrebbero allontanare, almeno all'inizio, molti potenziali lettori. Immaginatela come qualcosa che sembra uscita direttamente dalla testa di un Quentin Tarantino qualsiasi (già la premessa è di per se molto tarantiniana), aggiungete un'affascinante ambientazione storica immersa nella natura incontaminata, conditela con un tocco di...Superquark (tra poco capirete perché!) ed ecco che avrete questo manga.

La trama è semplicissima, lineare e non si prende per nulla sul serio, ma non disdegna qualche rivelazione di notevole impatto e sebbene molte sequenze inizialmente potrebbero apparire come "filler", in realtà contengono tutte, più o meno velatamente, importanti dettagli sulla vera natura della caccia all'oro e sulle motivazioni dei personaggi in essa coinvolti. Già qui però devo mettere in evidenza un difetto: ho trovato uno dei "colpi di scena", forse il più importante della storia fino a dove sono arrivato, abbastanza telefonato e colpevolmente anticipato da una vignetta collocata nei primi volumi (chi ha letto il manga capirà subito a quale mi riferisco). E' probabile che l'autore non lo abbia concepito come tale fin dall'inizio, ma un maggiore effetto sorpresa non avrebbe guastato a mio parere. Nonostante questa piccola pecca, vi posso assicurare che durante la lettura succede veramente di tutto e al termine di ogni pagina, capitolo o volume viene subito voglia di proseguire per scoprire a quale altra sfida andranno incontro Sugimoto e compagni.

I personaggi, pur non avendo chissà quale caratterizzazione, sono carismatici e ci si affeziona subito a loro, anche a quelli che sono a tutti gli effetti i rivali dei nostri protagonisti nella caccia all'oro nascosto. Anzi, devo ammettere che molti personaggi secondari arrivano a mettere in ombra persino lo stesso Sugimoto. Costui è davvero riuscito nel suo mix fra berserker furioso (non teme il pericolo e la morte ed è disposto a fare qualsiasi cosa pur di raggiungere il suo obiettivo) e compagno amichevole e fidato, che si affeziona subito ad Ashirpa, vera e propria mascotte kawaii della serie, e sviluppa con lei un legame che ben presto va oltre la semplice alleanza. Abbiamo poi Shiraishi, il Re dell'Evasione, ovvero l'idiota e la spalla comica del gruppo, e Tanigaki, un taciturno soldato della Settima Divisione dell'esercito giapponese che inizialmente appare come un personaggio minore quando poi diventa il protagonista di una delle sequenze più belle del manga e, a mio parere, acquisirà un ruolo sempre più importante nelle vicende narrate. E questi sono solo quattro dei molteplici personaggi che incontrerete in questo manga, molti dei quali sembrano partoriti dalla mente di registi folli come il già citato Tarantino.

I disegni costituiscono un altro dei punti di forza di Golden Kamui. Di ottima fattura sin da subito, migliorano costantemente di volume in volume fino a raggiungere un'incredibile capacità espressiva già dopo i primi 3-4 volumi, con sfondi estremamente dettagliati ed un realismo notevole nella riproduzione delle ambientazioni, dei vestiti e degli animali dell'epoca storica in cui è ambientato il manga. Realismo che si amalgama perfettamente con la frenesia delle scene d'azione, davvero spettacolari, adrenaliniche e mai confusionarie (anche grazie alle ottime inquadrature scelte), e con la rappresentazione spesso caricaturale o comunque sopra le righe dei vari personaggi. Per non parlare di un aspetto che ovviamente non posso che adorare, ovvero l'abbondanza di violenza, sangue e squartamenti, specialmente quando sono coinvolti animali feroci come orsi e lupi. Le numerose illustrazioni a colori sulle copertine e di intermezzo fra i capitoli poi sono semplicemente meravigliose.

Veniamo adesso ad uno degli aspetti più "controversi" di quest'opera, sul quale ho letto e tuttora leggo molte critiche, sensate ma non troppo a mio parere. Golden Kamui è sostanzialmente un vero e proprio nonché sincero atto di amore dell'autore verso la sua terra d'origine. Sfogliando le pagine del fumetto è impossibile non notare la sua incredibile passione nel raccontarci le vicende di Sugimoto e compagni ambientandole in un contesto realistico e fedele alla realtà storica, e a tale scopo deve essersi documentato perfettamente su usi, costumi e tradizioni del territorio, in particolare della cultura Ainu. Il problema è che, almeno all'inizio, forse di questa passione ce n'è pure troppa ^^'

Il manga infatti è strapieno di intermezzi e digressioni di carattere culinario, didascalico e antropologico che, pur interessanti, spezzano il ritmo in molti punti e rischiano di annoiare il lettore meno paziente che desidera soltanto botte e sparatorie. I primi tre volumi (il secondo e il terzo in particolare) costituiscono lo scoglio più grande da questo punto di vista in quanto Ashirpa ogni 3x2 si mette a spiegare a Sugimoto e agli altri come si cucina questo scoiattolo, come si caccia questa volpe, quali sono le usanze della sua famiglia e di sua nonna, etc. arrivando a volte ad occupare anche più di un capitolo, ecco spiegato perché prima citavo Superquark xD C'è poco da fare, qui si va a gusti, e personalmente pur riconoscendone a volte la maldestra collocazione ho sempre accolto con favore questi intermezzi. Inoltre sono qui per tranquillizzarvi e dirvi che, superato il quarto volume, queste parti si riducono notevolmente (non scompaiono del tutto, e meno male) arrivando ad occupare solo qualche pagina che intervalla le transizioni da un arco narrativo all'altro. Anzi, l'autore arriva a sfruttare molte di queste spiegazioni come base per mettere in moto le vicende di cui saranno partecipi Sugimoto, Ashirpa e i loro alleati e nemici.

In definitiva, Golden Kamui è una lettura che consiglio a chi cerca un manga d'azione scanzonato e divertente, pieno di violenza e personaggi eccentrici e fuori di testa, ma senza disdegnare un tuffo nell'approfondimento di una cultura e di un'ambientazione molto affascinanti, così dettagliatamente ricostruite dall'autore. Se manga dello stesso genere come L'Immortale o Vinland Saga vi sono piaciuti, o se adorate la follia e il pulp di registi come Quentin Tarantino e simili, allora questa è una lettura obbligatoria. Se siete ancora poco convinti, comprate o fatevi prestare almeno il primo volume e leggetelo, vi basterà per capire se questa serie può fare al caso vostro.

Voto parziale: 8,5/10 (con probabilità di aumento molto elevate)


Come dicevo a inizio post, Golden Kamui verrà adattato in una serie televisiva d'animazione che sarà trasmessa sulla TV giapponese a partire dal prossimo Aprile. Tale adattamento è realizzato dallo studio d'animazione Geno Studio, di recentissima fondazione e nato dalle ceneri della defunta Manglobe durante la lavorazione del film Genocidal Organ. Sebbene all'epoca tale notizia mi avesse fatto fare i salti di gioia, il successivo annuncio dello staff ha un po' smorzato il mio entusiasmo in quanto lo studio è molto giovane ed i nomi coinvolti nella produzione non mi danno sufficienti garanzie, in più già il primo trailer promozionale pubblicato a fine 2017 fa intendere che il budget non sarà molto elevato. Nonostante queste premesse, sono fiducioso che Geno Studio saprà fare un bel lavoro con l'ottimo materiale di partenza, e se riuscirà a trasmettere anche solo la metà delle sensazioni che la lettura del manga mi sta dando potrò ritenermi soddisfatto. Anche perché, come potete aver capito dal mio precedente sproloquio, l'opera in questione si presta benissimo a essere trasposta in animazione per via della sua dinamicità e delle sue molteplici sequenze d'azione. Augurandomi che non facciano ca***te e che non lo censurino troppo, incrocio le dita!



SPOILER PROSSIMO AGGIORNAMENTO ^_^


domenica 14 gennaio 2018

[Perché c'è un diavolo in me!] Devilman Crybaby

(no, non ci saranno sproloqui introduttivi sul perché e per quali scopi abbia deciso di creare questo blog, non fanno per me ^^ )

Mi accingo ad inaugurare questo neonato blog parlando di una serie televisiva d'animazione che, per quanto mi riguarda, ha fatto iniziare col botto il 2018 degli anime giapponesi. Sto parlando di Devilman Crybaby, adattamento in 10 episodi del celebre manga di Gō Nagai, prodotto da Netflix, distribuito unicamente sulla sua piattaforma di streaming, e diretto da Masaaki Yuasa presso il neonato (quasi, è stato fondato nel 2014 ma solo adesso sta iniziando a far uscire i suoi progetti) studio Science SARU.

Prima di passare all'anime in questione e iniziare a parlare di Yuasa, del ruolo che riveste nel settore e del perché è così importante per il sottoscritto, una piccola introduzione a Nagai e all'opera originale mi sembra doverosa, augurandomi che siano rimasti in pochi a non conoscerli.

Gō Nagai è, senza mezzi termini, uno dei più importanti autori di sempre del fumetto e della cultura pop giapponese, secondo solo al "Dio del manga" Osamu Tezuka (di cui mi piacerebbe parlarvi prima o poi). Inventore, fra le mille altre cose, del genere ecchi (non è esattamente un genere quanto una componente, ma dettagli), o almeno dello sdoganamento della componente erotica e sessuale anche nei fumetti per ragazzi, e soprattutto dei mitici super robottoni tanto celebri anche nel nostro paese sin dagli anni '70, ovvero Mazinga Z, Jeeg Robot D'acciaio e Ufo Robot Goldrake (per citare i più noti), il suo stile, le sue opere e la sua fervida immaginazione hanno influenzato moltissimo le generazioni successive di mangaka, per non parlare di autori come Kentarō Miura e Hitoshi Iwaaki che lo hanno direttamente omaggiato nei loro manga, tanto che nella storia del fumetto giapponese si potrebbe parlare benissimo di un pre- e di un post-Nagai. Per dirvi, tutte le opere shōnen più famose degli anni '80 (Ken Il Guerriero, Saint Seiya, Le Bizzarre Avventure di JoJo, etc.), e di conseguenza quelle degli anni '90 e quelle più moderne, non esisterebbero senza di lui, almeno non come siamo abituati a conoscerle oggi.

E soprattutto non esisterebbero senza di lui, Devilman (in lingua giapponese デビルマン Debiruman), di sicuro l'opera più famosa del maestro Nagai, unanimamente considerata il suo capolavoro, serializzata tra il 1972 e il 1973 sulle pagine della rivista Weekly Shōnen Magazine dell'editore Kōdansha. Devilman è, in estrema sintesi, la storia dello studente liceale Akira Fudo che, spinto dall'amico Ryo Asuka, si fonde con Amon, il più forte e terribile tra i demoni, arrivandone a controllare il grande potere mantenendo il cuore e l'animo umano per combattere i demoni stessi che stanno cercando di invadere la Terra. La lotta di Akira sarà spietata e aumenterà di scala col passare dei volumi (prima i suoi conoscenti, poi il Giappone e infine l'intero pianeta) fino allo spiazzante finale, assolutamente rivoluzionario per l'epoca e di notevole impatto anche adesso.

Non si può dire che l'opera sia invecchiata benissimo sotto alcuni aspetti: la struttura della storia è semplice e lineare, la caratterizzazione dei personaggi abbastanza a senso unico (Miki per esempio è la classica damsel in distress, all'apparenza spaccona ma in realtà fragile e dal cuore d'oro), e vi sono molti spiegoni anche abbastanza "ingenui" che rendono la lettura ridondante. Inoltre non tutti potrebbero apprezzare lo stile di disegno di Nagai, semplice ma poco elegante, grottesco, molto lontano dagli standard a cui il lettore medio è abituato.

"Brutti" è l'aggettivo che ho visto associato più spesso ai disegni del maestro, e la cosa mi trova in profondo disaccordo perché, se è vero che dimostrano molte lacune a livello formale, sono incredibilmente espressivi e adatti a quello che viene raccontato. Moltissime tavole, soprattutto nella seconda parte del manga, hanno un impatto pazzesco e contribuiscono a rendere l'opera quello che è, ovvero un pilastro del fumetto giapponese. Detto in parole povere, è davvero difficile oramai immaginarsi Devilman con dei disegni diversi da quelli di Nagai.

Riguardo a tutto il resto le lodi, personalmente, si sprecano. Nato in un periodo di forti tensioni e preoccupazioni per il futuro della società umana (erano gli anni della guerra fredda), Devilman traspone queste ansie su carta in un'opera dura, potente, violenta, repellente, cinica e pessimista, e lo fa rendendo la lettura accessibile anche ad un pubblico di adolescenti. Devilman è infatti uno shonen (manga per ragazzi) e, se già questo suona strano ai giorni nostri, all'epoca doveva essere qualcosa di rivoluzionario, alla luce anche del finale sopra citato. La violenza presente nel manga non è mai fine a se stessa, non si può dire altrettanto del fanservice invece, il design di molti demoni dal corpo femminile è un'autentica esplosione di "fantasia perversa", ma questo è lo stile di Nagai quindi prendere o lasciare.

Devilman è, al momento in cui scrivo, disponibile nelle librerie e fumetterie del nostro paese pubblicato dall'editore J-Pop in due edizioni: un cofanetto che comprende i cinque volumi originali formato tankobon e un'elegante, ma scomoda e rovinata da un sacrilego codice a barre collocato criminalmente sulla costina, omnibus cartonata che racchiude tutti e cinque i volumi in uno solo e che fa indubbiamente la sua bella figura nello scaffale della propria collezione. Il prezzo di copertina è molto simile, io possiedo l'omnibus. Qualsiasi opzione scegliate, se vi ritenete esperti o anche solo appassionati di fumetto giapponese non potete non aver letto Devilman, magari alla fine potrebbe anche non piacervi (del tutto legittimo, conosco parecchi che non l'hanno apprezzato), ma è un'opera fondamentale anche solo per l'importanza che ha avuto nella storia del medium.

Devilman ha ricevuto, prima del 2018, due adattamenti animati: il primo è la storica, per quanto molto infedele all'opera originale e completamente spogliata di tutti i temi esistenziali e negativi, serie televisiva degli anni '70, trasmessa anche nel nostro paese su alcune emittenti locali; il secondo è costituito dai due OAV (Original Anime Video, ovvero pubblicati direttamente per il mercato home video) di fine '80, questa volta fedelissimi al manga e al character design originale ma purtroppo incompleti. Quando, a inizio 2017, ho saputo dell'annuncio di una nuova serie televisiva anime su Devilman prodotta da Netflix, diretta da Masaaki Yuasa e realizzata dal suo studio Science SARU ero al settimo cielo: uno dei miei registi d'animazione giapponese preferiti che lavora e imprime la sua visione su un classico dei manga, riuscendo magari a fornire per la prima volta un adattamento completo e fedele dell'opera originale? Cosa poteva esserci di più bello?

Per chi non lo conosce, Masaaki Yuasa è uno dei registi d'animazione giapponese contemporanei più famosi fra gli appassionati e noto per il suo estro, la sua creatività, le sue invenzioni visive e il suo stile fuori dagli schemi, molto lontano dai dettami classici del disegno giapponese e in molti casi volutamente "brutto", come potete notare dalla seguente gif dell'anime Ping Pong The Animation (2014), disponibile sul portale di streaming VVVVID se siete interessati.


L'entusiasmo iniziale è un po' sceso quando ho appreso quale sarebbe stato lo sceneggiatore della serie, Ichirō Ōkōchi. Costui è un altro nome "noto" (stavolta con accezione negativa, ahimè) nell'industria anime giapponese per aver realizzato alcune delle sceneggiature più deliranti e di cattivo gusto mai viste nel medium. Cito solo due nomi: Guilty Crown e Valvrave The Liberator, chi li ha visti o anche solo sentiti nominare capirà. Non nascondo quindi che in tutto il periodo precedente all'uscita della serie su Netflix abbia temuto il peggio, ma in fondo mi ripetevo, come un mantra ottimistico, che era impossibile che arrivassero a sbagliare due volte l'adattamento. In più con la genialità di Yuasa e la potenza del materiale originale era davvero difficile combinare disastri.

Dopo essermela sparata tutta in due giorni, posso confermarvi che Devilman Crybaby è un'ottima serie, un capolavoro mancato a causa di alcuni difetti che a breve elencherò ma senza alcun dubbio un'opera che fa bene all'animazione giapponese (soprattutto per il connubio produttivo con Netflix), e costituisce il primo adattamento completo e, nuntio vobis gaudium magnum, fedele del manga originale di Nagai. Vediamo di capire perché.

Quello in cui la serie di Yuasa riesce benissimo è l'attualizzare le vicende di Akira e soci alla realtà contemporanea, operazione del resto necessaria alla luce di quanto scritto precedentemente sulla genesi del manga. Adesso Akira Fudo è un liceale giapponese dei giorni nostri, Miki Makimura una sua compagna di classe (e sorella adottiva) campionessa di atletica, Ryo Asuka uno ricco studioso di demoni e civiltà antiche, privo di scrupoli e che non si fa problemi ad adottare ogni mezzo possibile pur di raggiungere i suoi scopi. Abbiamo Internet, cellulari, computer, social e selfie. Al posto dei teppisti del manga abbiamo dei bulletti rapper. Al posto della Guerra Fredda vi sono i problemi e i dilemmi della moderna società, ed è curioso come l'anime sia uscito in un periodo di forti contrasti internazionali (si pensi alla minaccia missilistica della Corea del Nord). Se si esclude questo cambiamento, e alcune lievi modifiche alla trama e ai personaggi (es. assume più rilievo Miko, che nel manga è relegata a un'apparizione di 3-4 pagine), i punti salienti della storia originale ci sono tutti, e mantengono tutta la loro potenza, rilevanza e attualità.

Un altro aspetto dove Devilman Crybaby personalmente eccelle è il comparto tecnico. Questa è senza alcun dubbio la serie più violenta, eccessiva, folle e delirante del sensei Yuasa, e ciò è stato sin da subito fonte di aspre discussioni in rete su chi non ha apprezzato per nulla lo stile adottato, chi preferiva qualcosa di più classico, legato all'anime originale, e chi invece si è rivelato entusiasta.


I corpi sono esili, slanciati e (come nelle altre opere di Yuasa) lontani dai dettami classici del disegno giapponese, siamo molto dalle parti di The Tatami Galaxy. La componente sessuale è molto più accentuata e non sono poche le scene di nudo e di sesso, assenti nell'opera originale che si limitava al solo ecchi. L'apice di questo stile è costituito dal design dei demoni e dalla loro rappresentazione in tutte le scene dove appaiono in massa: deformi, sgradevoli, ripugnanti, una vera e propria orgia di colori pop che può disorientare, per non dire fare ribrezzo, anche a chi ha già letto e ammirato le tavole originali di Nagai. O si ama o si odia insomma. Io l'ho adorato, e gran parte del fascino di questa serie deriva anche dal suo essere volutamente fuori dagli schemi: uno stile moderno e creativo adatto (di nuovo questa parola chiave) ad un adattamento moderno.

Punto di forza della serie sono indubbiamente anche i personaggi, aspetto che reputo perfino superiore al manga in quanto ci si libera finalmente dei cliché e degli stereotipi che dominavano nella versione originale. E' impossibile non affezionarsi, nel corso degli episodi, a ciascuno di loro. Hanno tutti un'ottima caratterizzazione e delle motivazioni credibili ed efficaci, forse Ryo è l'unico meno carismatico per via del suo character design, e scoprire a cosa andranno incontro porterà lo spettatore in un vortice di emozioni che lo lascerà col fiato sospeso sino all'ultima, incredibile inquadratura dell'episodio finale. Le lacrime di Akira Fudo che danno il titolo alla serie sono una delle cose più riuscite, in quanto si ergono a simbolo che distingue gli umani dai demoni, i devilman dagli altri demoni, aspetto quasi totalmente assente nell'opera originale.


Purtroppo questa serie non riesce ad ergersi a capolavoro, a pietra miliare dell'animazione giapponese a causa di tutta una serie di piccoli problemi il 95% dei quali è imputabile a... si, proprio lui, quell'Ōkōchi citato in precedenza, che come da previsioni ha saputo gestire molto bene il materiale di partenza, ma che qualcosa del suo "repertorio" è riuscito a mettercela comunque. Una di queste è l'eccesso di dramma: poco fa parlavo delle lacrime di Akira come simbolo della serie, e rimango su questa posizione, ma hanno un filino esagerato con i piagnistei. Vedere in continuazione i personaggi che lacrimano come fontane e che se la menano per i loro drammi, soprattutto nella seconda parte, è stato abbastanza stucchevole. Così come per una gestione fin troppo frettolosa di molte scene, alcune delle quali non hanno proprio senso, e dell'intera seconda parte, dove la storia assume un più ampio respiro. Se è vero che è così anche nel manga, qui la sensazione è più accentuata ed il pathos purtroppo ne risente in molti punti. Mi sarebbe piaciuto inoltre vedere i demoni più approfonditi, a livello di gerarchia e personalità, anche questo è uno dei limiti dell'opera originale ma capisco che con soli 10 episodi non si poteva fare di più. Ecco, forse con 13 episodi totali sarebbe stato meglio.

In definitiva, Devilman Crybaby è un'ottima serie che rende finalmente giustizia al capolavoro originale adattandolo alla nostra epoca in maniera più o meno fedele, e restituendo le medesime sensazioni, emozioni e tematiche. Non è perfetta e si poteva fare di più in alcuni punti, ma va bene così e alla luce del fatto che Netflix abbia deciso adottare lo stesso modello delle sue serie TV live action, ovvero totale libertà creativa agli autori finanziati, non può che far ben sperare sul futuro di un'animazione giapponese sempre più in stallo e povera d'idee. Se siete fan del Devilman originale be', questa è per voi una visione obbligatoria, se invece vi approcciate al personaggio per la prima volta, forse è meglio prima leggersi il manga per capire l'importanza che ha avuto senza rovinarsi la storia.

Voto Devilman (manga): 9/10
Voto Devilman Crybaby: 8/10


P.S: ah, piccolo spoiler su quello di cui vorrei parlarvi nel mio prossimo post (d'ora in avanti adotterò questa strategia per costringermi ad essere costante ^^' )